sabato 7 maggio 2011

RICORDI NEL CONTAINER



di Natascia Ancarani


A mio padre

Quando mi dissero, qualche anno fa, che avevano venduto la vecchia sezione del partito comunista di Conventello, il paese dove sono nata, chiesi subito:
«E i libri della biblioteca, che fine hanno fatto?»
«Li hanno messi in un container.»
«Dei libri in un container?»
«Sono chiusi e ben protetti. Li porteranno nella nuova sezione, appena sarà pronta.»











Gruppo dei pionieri festeggiano la ricorrenza del 25 aprile nel 1961. 



IL PAESE
Tre frazioni, nel comune di Ravenna: Conventello, Grattacoppa, Savarna; un tempo separate dai campi, oggi sempre più vicine fino a diventare un unico paese. Lentamente le nuove costruzioni hanno riempito i vuoti fra una frazione e l’altra. Case di proprietà, spesso costruite con i risparmi di una vita, con il proprio lavoro e l’aiuto di un muratore. Villette ben curate, facciate rimesse a nuovo, con l’intonaco fresco, i colori vivaci, intorno un pezzo di terra, un giardino o un orto. Le case coloniche, molte dell’inizio del Novecento, sono state ristrutturate o sostituite da case moderne, che spuntano davanti o di fronte alle antiche, nello stesso cortile. Un lungo tratto di pista ciclabile attraversa il paese, gli anziani la percorrono più spesso dei giovani; un bel lastricato ha ricoperto da qualche anno la piazza centrale. Un paese ordinato, dove la vita scorre decorosa, e che comunica, a chi non conosce le sue origini, un’idea di benessere diffuso. 
Nel dopoguerra era un paese povero, molti proprietari terrieri abitavano in città e si servivano di un fattore che curava i loro affari. Era abitato in gran parte da contadini e operai. Molti braccianti si erano costituiti in una grande cooperativa agricola, ora sciolta. Più tardi, sull’onda della scolarizzazione di massa, a partire dagli anni Sessanta, la struttura sociale del paese si è modificata, molti hanno preso un diploma, ci sono geometri, ragionieri, commessi, maestri, impiegati. Pochi i laureati. Nell’ultimo trentennio il paese ha acquisito tutti i servizi indispensabili, per cui prima era necessario spostarsi nei paesi limitrofi: una farmacia, un ufficio postale, una banca. Benché il tasso di scolarizzazione sia cresciuto e la popolazione sia aumentata, non esiste una biblioteca pubblica, neppure piccola.
Si intravede il paese come appariva nel 1958.
Si andava a ballare raggiungendo in bicicletta Alfonsine a circa 10 chilometri

Il paese ha più di duemila elettori e il partito democratico ha percentuali superiori al sessanta per cento. Negli anni Settanta il partito comunista aveva raggiunto percentuali ancora più alte, superiori al settanta per cento. Esistevano tre sezioni del partito, una per ogni frazione. In sezione, accanto alle riunioni di partito, si svolgevano feste, assemblee pubbliche sui problemi del paese e il bar era abitualmente frequentato da chi voleva leggere il giornale o giocare a carte. Era un patrimonio immobiliare di discrete dimensioni, creato nel dopoguerra da iscritti e simpatizzanti del partito. È stato venduto recentemente, nei primi anni del nuovo secolo. Dalle risorse ricavate è nato, sul sito in cui sorgeva il vecchio Teatro, un palazzo a più piani, una costruzione insolita, unica nel paese. Con i suoi materiali nuovi, il metallo della struttura e la vetrata al piano terra, s'isola dal contesto e si proietta in un futuro immaginario. Nel cuore dell’edificio, all’entrata principale, dove s'imbocca la scala che porta ai piani superiori, chiuso dalla vetrata esterna, quasi conservato in una teca come una reliquia, è rimasto il vecchio proiettore del Teatro, accuratamente ripulito e lucidato. Una macchina alta più di un uomo, oggi inservibile, che ha raccontato innumerevoli film al paese per quasi cinquant’anni. Al piano terra ci sono un bar e una banca, al secondo piano la sezione del partito democratico.
Alcuni dei libri scampati alla distruzione
La nuova sezione, che dovrebbe ospitare i vecchi libri, esiste dunque da qualche anno, dal 2007. Ha una grande sala, per le riunioni, con le sedie rivestite in panno rosso, un ufficio, e persino un nuovo proiettore che potrebbe essere usato per i cineforum. In una saletta adiacente non mancherebbe lo spazio, per mettere degli scaffali e neppure le risorse per comprarli, ma i libri sono ancora nel container, sul terreno che il partito usa per organizzare le feste del partito democratico. In realtà, nessuna, delle persone intervistate, ha manifestato indifferenza, insensibilità o noncuranza. I libri, almeno quelli che erano in buono stato, sono stati impacchettati e conservati, sono stati proposti alla scuola elementare e alla biblioteca pubblica di un paese vicino, ma queste, disponendo di spazi limitati, li hanno rifiutati. Il problema è un altro. La piccola biblioteca che il partito aveva fondato negli anni Cinquanta era già inutilizzata negli anni Settanta, forse anche oggi sarebbero pochi gli utenti di una biblioteca pubblica. La sua conservazione servirebbe a documentare la storia del partito locale, ma difficilmente potrebbe essere un servizio alla comunità, com'era stata concepita ai suoi inizi. Anche nel caso in cui si aggiungessero nuovi libri. 




Frequentavo da poco il liceo, negli anni Settanta, quando venni a sapere che il partito, nel dopoguerra, aveva fondato una biblioteca. Andai a vedere cosa ne restava. Al secondo piano della vecchia sezione di Conventello c’era una saletta per le riunioni. Intorno c’erano degli scaffali e una libreria solida, di legno buono, con le vetrine, costruita da una cooperativa di falegnami, dove potevano essere conservati, protetti dalla polvere, centinaia di libri. I libri erano ormai accatastati in modo disordinato, dove capitava, spesso coperti di polvere, mescolati a opuscoli e giornali. Mi aspettavo di trovare discorsi di Togliatti, opere di Marx o Lenin, invece la linea degli acquisti, come vedremo, era più vasta e aperta di quanto ci si potrebbe aspettare. I libri erano stati attentamente catalogati e c’erano schede del prestito, come in una normale biblioteca. Difficile dire quanti fossero. Molti erano andati persi. Da quando il prestito non funzionava, chiunque passasse dalla saletta, poteva portarne a casa qualcuno senza restituirlo. Era una piccola biblioteca, forse un migliaio di libri, ma era un progetto ardito e ammirevole, in un paese dove non arrivavano neppure i quotidiani e pochissimi tenevano in casa un libro, mettere a disposizione di ciascuna famiglia un paio di libri al mese. 




FONDAZIONE DELLA BIBLIOTECA E COSTRUZIONE DEL TEATRO



Il fervore del dopoguerra, quando riprese la libertà di espressione dopo anni di silenzio obbligato, toccò anche le piccole frazioni della zona. La libera partecipazione dei cittadini procurò risorse insperate. La comunità, raccolta attorno al polo maggioritario del partito comunista e a pochi altri partiti, iniziò un grande sforzo di ricostruzione, materiale e spirituale. Si mobilitò per chiedere case popolari, l’asilo e il pozzo artesiano. Si dotò di sedi per le riunioni dei partiti. Costruì, con la partecipazione volontaria dei cittadini, persino una strada che unì due frazioni, anticipando l’intervento del comune che si faceva attendere.













Con le speranze di miglioramento sociale, che si aprirono nel dopoguerra, la comunità mise al centro del proprio sforzo ricostruttivo anche la crescita culturale del paese. I promotori che si mossero in questa direzione furono il partito comunista, con la creazione della biblioteca e la diffusione porta a porta del quotidiano l’Unità, e l’ANPI, con la costruzione del Teatro. Come racconta Angelo, uno dei fondatori della biblioteca: «Allora non c’era niente, non c’era un’edicola, dove comprare il giornale.» L’unica fonte d'informazione era la radio e non tutti l’avevano. I quotidiani non arrivavano al paese, bisognava andare a prenderli in bicicletta ad Alfonsine, un paese a una decina di chilometri. Quelli che volevano leggere, e a molti sembrava importante “conoscere”, non sapevano dove trovare dei libri. Qualcuno se li faceva prestare dai pochi che ne avevano. 
Il partito comunista in quegli anni era un partito rigido, che guardava al modello sovietico. L’iscrizione al partito era attentamente controllata, due compagni dovevano garantire per il nuovo iscritto. Tutti gli iscritti dovevano partecipare alla cellula una volta alla settimana, si faceva l’appello, come a scuola, e chi era assente per più di tre volte veniva richiamato. Ci furono diverse espulsioni dal partito, venivano allontanati gli iscritti che avevano avuto comportamenti disonesti o non erano fedeli alla linea. Come ricorda Angelo, lo slogan di quegli anni era: dobbiamo bolscevizzarsi. «Si chiedeva disciplina, ma anche senso di responsabilità» ricorda Antonio con un accento nostalgico. I bambini, oltre alla frequenza scolastica incoraggiata dalle famiglie con maggiore convinzione del passato, si riunivano in gruppi di pionieri, secondo il modello sovietico. Ricevevano, nel contesto di attività ricreative, un’istruzione complementare: visita alle aziende agricole, con la conoscenza del modello cooperativo, celebrazione del 25 aprile, riordino della biblioteca. Anche la formazione dei dirigenti locali di partito, in quegli anni, veniva seguita con particolare attenzione. Furono organizzati corsi di formazione dove si studiavano gli autori comunisti, soprattutto Marx e Lenin. Li frequentavano operai e contadini che avevano solo la licenza elementare. Dovevano conoscere e comprendere l’ideologia del partito e diffonderla fra gli abitanti del paese. Era un contesto di formazione ideologica chiusa, quasi soffocante, che contribuì però ad ampliare le conoscenze di tutti. Si riteneva che la conoscenza potesse avere di per sé un significato progressivo, potesse produrre, come si teorizzava allora, una coscienza critica e vigile, che avrebbe favorito la crescita del partito, ostacolando quella degli avversari politici. Fu quest'ideale, che oggi consideriamo con più disincanto, a produrre aperture impensabili, a generare gli effetti più interessanti, ben oltre gli obiettivi immediati della propaganda e della formazione ideologica. La distribuzione regolare del quotidiano l’Unità, porta a porta, ha aiutato gli abitanti del paese a leggere ogni giorno, a informarsi, in anni in cui i telegiornali televisivi non era ancora entrati nelle case, su quanto accadeva in Italia e nel mondo. Un’abitudine, quella della lettura quotidiana del giornale, che le vecchie generazioni del paese non hanno mai perso. La formazione della biblioteca e la costruzione del teatro furono progetti che avevano ben poco d'ideologico, guardavano alla formazione complessiva di una comunità composita, plurale, che voleva crescere: «Volevamo divulgare la cultura fra gli ignoranti» racconta Angelo scherzando. «Prima di fondare la biblioteca avevo letto solo un paio di libri, che mi avevano prestato.» 





L’apertura della biblioteca alla comunità non fu una cosa ovvia. Si discusse sulla funzione della biblioteca: se dovesse essere un centro di documentazione per la formazione dei dirigenti locali o uno strumento a disposizione di tutta la comunità. In quegli anni c’era una forte ostilità nei confronti delle forze politiche alternative. Molti repubblicani e democristiani, che oggi organizzano le feste del PD insieme con i vecchi comunisti, erano considerati veri nemici. Non tutti comprendevano perchè si dovessero sprecare le risorse del partito per la formazione di chi apparteneva all'ideologia opposta. Prevalse però la linea dell’apertura e la biblioteca fu aperta all’intero paese, chiunque poteva frequentarla. Fu istituito un prestito e furono decise delle serate di apertura. Il prestito, racconta Angelo, non era molto frequentato, ma a sentire altri nel paese, restano ben vivi i ricordi di molte letture. Si ricordano con precisione titoli, autori, temi. Si ricordano le fredde sere invernali, vuote d’eventi e d'incontri, quand'era una consolazione restare in compagnia di un libro da leggere, spesso al lume di petrolio. Angelo, così dice, i libri li sfogliava appena, e poi li catalogava. Ne leggeva pochi. Il suo mestiere di falegname gli lasciava poco tempo. Ora però, a ottantasei anni, è diventato un lettore assiduo e forse la sua vecchiaia sarebbe più solitaria e meno ricca, se gli anni di attività nel partito, non avessero gettato, come mi piace pensare, il seme della lettura.



La decisione di fondare la biblioteca di Conventello e di aprirla al pubblico venne presa dai dirigenti locali, ma i libri venivano scelti dalla federazione di Ravenna, forse perché si riteneva che i dirigenti provinciali fossero più informati e potessero compiere scelte sicure, fedeli alla linea ideologica. Secondo Angelo gli scrittori scelti “guardavano” a sinistra. Le case editrici erano tre, era in vigore un abbonamento ad alcune collane e ogni mese arrivava un certo numero di libri, case editrici sicuramente caratterizzate, all’epoca, dall’impegno civile: Editori Riuniti ovviamente, Einaudi e Feltrinelli, C’erano testi politici, Angelo ricorda anche le opere di Stalin: «Erano tanti volumi. C’erano tutti i discorsi che aveva fatto. Non li ha mai letti nessuno.»
I libri citati più frequentemente dagli antichi lettori della biblioteca non sono saggi politici o opere teoriche. Sono biografie e testimonianze, in genere d'ispirazione politica: Nadežda Krupskaja, La mia vita con Lenin, Giovanni Germanetto, Memorie di un barbiere, un testo oggi introvabile, sull’opposizione politica contro il fascismo, pubblicato in Francia all’inizio degli anni Trenta. E soprattutto romanzi: Pavese, Moravia, Pratolini, Balzac. «Mi avvicinavo ai libri per l’analisi dei sentimenti» racconta Antonio. «Io non sono un intellettuale, nella mia formazione, ma penso di conoscere i sentimenti.» Erano presenti autori come Melville, Conrad, persino Shakespeare con il Coriolano. Dell'Universale Feltrinelli si scelse di avere anche la Serie scientifica, una collana dov'erano pubblicate opere di divulgazione, in genere di matrice anglosassone, su teorie scientifiche, dalla biologia alla fisica, fino all’archeologia. Un tentativo di formazione che andava ben oltre i confini ideologici della linea di partito. 



Il Teatro, così veniva chiamato in paese, fu un prodotto dell’intera collettività del dopoguerra. Il promotore dell’impresa, come già detto, fu l’ANPI che comprendeva tutti i partiti del paese. I soldi furono raccolti famiglia per famiglia. L’attrazione maggiore del Teatro era rappresentata, ovviamente, dalla proiezione dei film, ma questo non ne fece mai un semplice cinema, se non forse negli ultimissimi tempi. Era un teatro di circa 500 posti, grande per i tempi, un pullman portava altri spettatori dai paesi vicini nei giorni di festa. Aveva un buon palcoscenico, dove in genere si rappresentavano commedie dialettali. Le sedie si potevano togliere e si potevano organizzare delle feste in pieno inverno, quando diventava impossibile farlo all’aperto. I film più importanti, quelli che avevano un valore politico o culturale, venivano presentati agli spettatori e a volte erano seguiti da un dibattito. Grazie alle presentazioni, ricorda Elisabetta, film difficili da capire, come quelli di Fellini o Pasolini, diventavano più comprensibili. Il teatro era anche luogo di grandi assemblee, quelle che non avevano un colore politico ma rappresentavano la comunità intera, quando, ad esempio, si ospitava un dirigente del movimento di liberazione, per celebrare il 25 aprile. 

La messa a norma dei teatri e di strutture simili, verso la fine degli anni Novanta, è avvenuta in un momento di crisi, di calo della partecipazione. Le nuove norme di sicurezza, in sé giustificate, hanno però dato il colpo di grazia a molte strutture collettive che in Romagna erano state fondate dalla popolazione. Le spese ingenti per la messa a norma del Teatro di Savarna non erano sostenibili, a fronte di entrate sempre più esigue per il calo degli spettatori. Il sostegno delle istituzioni pubbliche, per salvare questo o altri teatri disseminati sul territorio, è stato assente o insufficiente. La chiusura del Teatro di Savarna diventò una necessità. 









TRASFORMAZIONI
La biblioteca, fondata all’inizio degli anni Cinquanta, risultava ancora attiva alla metà degli anni Sessanta, ma i libri giacevano in stato di abbandono già alla metà degli anni Settanta. La sua natura cambiò lentamente, nel corso degli anni Sessanta. Non c’erano più serate di apertura al pubblico, i libri si potevano avere solo quand'era indetta una riunione di partito, e questo restringeva necessariamente il numero degli utenti. Inoltre, in quegli stessi anni, il bar della sezione si era dotato di un televisore, come avevano fatto altri bar nel paese e la biblioteca morì, in un certo senso, di morte naturale, sostituita dalla televisione. Invece di restare in casa a leggere un libro si preferiva raggiungere il bar e guardare uno dei pochi programmi che andavano in onda. La visione era ancora collettiva, poteva stimolare il confronto e il dibattito, ma ben presto il televisore entrò nelle case, isolando sempre di più le singole famiglie. 
Raccolta della paglia per finanziare le iniziative del partito comunista

Le tre sezioni, per mantenersi attive, dovevano essere ristrutturate e adeguate alle attuali norme di sicurezza. I due bar erano ormai scarsamente frequentati, diventava sempre più difficile trovare dei gestori e il partito doveva sostenere una parte delle spese, luce e riscaldamento, per permettere al gestore di guadagnare qualcosa. Inoltre la partecipazione politica, a partire dagli anni Ottanta, era in calo continuo e risultava ormai inutile mantenere tre sedi aperte. 
Il teatro, che la comunità ha utilizzato per un cinquantennio, ha resistito più a lungo, soprattutto in una delle sue funzioni, il cinema. Le ultime proiezioni risalgono alla fine degli anni Novanta, sempre più rare nell’arco della settimana, fino a una sola proiezione la domenica. Negli ultimi tempi il teatro aveva perdite di milioni all’anno, sopravviveva grazie a quello che aveva accumulato negli anni precedenti e incombevano le spese per la messa a norma. 
Si prese quindi la decisione di smantellare e vendere il patrimonio accumulato dalla comunità. Solo in questo modo, trasformando il vecchio in nuovo, si poteva sperare di salvare una parte del patrimonio e costituire altre strutture che conservassero, almeno in parte, alcune delle antiche funzioni. I tre circoli del partito furono chiusi e uniti in un’unica sezione. Dove sorgeva la sezione di Conventello hanno costruito delle villette a schiera, nei locali dell'ex sezione di Savarna c’è ora una pizzeria. Il teatro fu abbattuto e al suo posto è stato innalzato il nuovo palazzo di vetro e metallo, con il vecchio proiettore incastonato nelle sue radici. È stato comprato un terreno nel paese, dove fare la festa del PD. Sul terreno, insieme ad altri materiali, resti delle sezioni dismesse, forse teli e tubolari per organizzare la festa, posa ora il container con i pochi libri rimasti della biblioteca.
Il processo di riconversione è stato portato avanti con disincanto e senso della realtà, ci sono state assemblee turbolente, ma le decisioni prese, alla fine, sono state condivise dalla maggior parte della collettività. Primo, uno degli ultimi organizzatori del teatro e attuale segretario del PD, pur convinto che la riconversione del patrimonio fosse l’unico modo per salvare le risorse che la comunità aveva costruito con impegno e perseveranza, si è allontano da Savarna per qualche giorno, quando hanno distrutto il teatro. Quand'è tornato il teatro era già scomparso. «Macinato come farina, in poco tempo. Era diventato polvere» dice con amarezza. 
Raccolta della paglia per finanziare le iniziative del partito, compreso l'acquisto dei libri.
Da notare i due bambini che "si vestono" con la bandiera rossa

Cosa farne oggi, di questa storia lontana nel tempo, di questo passato tanto inattuale da doverlo chiudere in un container, in attesa di una collocazione futura? Perchè parlare di una piccola biblioteca di partito che avrà avuto, a essere ottimisti, vent'anni di attività, di libri che sono stati accantonati, non per disprezzo della cultura, ma semplicemente perchè nessuno li voleva leggere? Alcuni del paese, nati nel corso degli anni Settanta, abbastanza giovani da ignorare quelle esperienze, si sono rallegrati, nel guardare alcune foto degli anni Cinquanta, di appartenere a un altro tempo, di vivere in quest'Italia moderna. Il benessere, nonostante la crisi in corso, si tocca con mano, se si confronta il presente con le immagini del passato: le ragazze che facevano dieci chilometri in bicicletta per andare a ballare, i giornali distribuiti porta a porta, perché non arrivavano al paese, le case decadenti, i vestiti semplici dei bambini, spesso dismessi dai fratelli più grandi o ereditati da qualche parente. 
A parte i pionieri, a parte i modelli importati dall'URSS, questo passato forse ha ancora qualcosa da dirci, su come una comunità cresce culturalmente. Ci racconta anche qualcosa sulla nuova miseria culturale dell'Italia moderna, sulla sua perdita di sorgenti ideali, una miseria che non è necessariamente il frutto del maggiore benessere. Non c’è niente di necessario nel binomio benessere-ignoranza, non è un’ovvietà, è anzi un effetto perverso, che con l’aumento della scolarizzazione diminuisca la lettura. Ci racconta di una realtà storica dal corso potente, che la piccola comunità, con tutta la buona volontà, non ha potuto contrastare. Racconta di un’Italia moderna che abbandona i suoi libri, lascia distruggere i suoi teatri, riduce i luoghi di aggregazione, chiude i cinema, isola le persone in casa, nel peggiore dei casi davanti a un televisore, davanti a programmi dal livello culturale sempre più scadente, nel migliore dei casi davanti a un computer che comunica con il mondo. 
In un paese vicino, a Mezzano, dove si è chiuso un altro teatro, nato dalla volontà collettiva, da alcuni anni è stata fondata una biblioteca. Non sono state le istituzioni a farlo. Il Comune ha concesso gli spazi, ma è l’associazione culturale Percorsi, con l’impegno dei propri volontari, che tiene aperta la biblioteca. I libri nel container sono stati conservati. Nessuno ha pensato di gettarlo via, quel passato. Sono chiusi e protetti. Vien da dire: troppo chiusi e protetti. Sarebbe meglio tirarli fuori questi ricordi, tirar fuori i libri, appendere in sezione le foto del passato, fare circolare nuovamente nella comunità il passato chiuso nel container. La conoscenza del passato, come la conoscenza di altri mondi, ha spesso una funzione salutare di confronto. I limiti e i difetti del nostro piccolo mondo, moderno e progressivo quanto si vuole, risaltano meglio. Il benessere è cresciuto, eppure si ha l’impressione che i vecchi del paese, cresciuti a contatto continuo con la propria comunità, con qualche lettura di Balzac, con le biografie degli uomini che ammiravano, sappiano raccontare bene la propria esperienza, forse meglio dei giovani del paese che si rallegrano di essere nati in una nuova epoca. 
Se il teatro è andato perso, forse non basta rallegrarsi di avere salvato il patrimonio. Oggigiorno film splendidi passano velocemente, o addirittura non passano, dai circuiti commerciali. Quanti hanno visto il film recente L’uomo che verrà sulla strage di Marzabotto? Quante possibilità ci sono di rivederlo in televisione? Si potrebbero, allora, aprire anche le sale che ci sono rimaste, soprattutto quando esiste un nuovo proiettore. Si possono aggirare i permessi, fare tessere associative, all’ANPI o all’ARCI, che permettano a tutti quelli che ancora lo vogliono, anche se pochi, la visione di un bel film. Si possono presentare i film, come un tempo, aprire un dibattito, in modo che la collettività si ritrovi a discuterne insieme. In modo che ognuno esca da quei container di metallo, carichi di memorie inespresse, a cui assomigliano, sempre di più, le vite dei singoli. 
Si ringraziano per le preziose informazioni, le foto, la calorosa partecipazione alla ricerca: Elisabetta Baruzzi, Eliseo Dalla Vecchia, Angelo Ghinassi, Bruna Ghinassi, Fabrizio Matteucci, Giorgio Masotti, Antonio Morigi, Primo Pezzi. Della linea interpretativa data all’intera vicenda è responsabile la sola autrice. Le persone citate non devono necessariamente condividerla.

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